Nel mondo della gastronomia italiana il prosciutto cotto e quello crudo sono protagonisti indiscussi, spesso considerati alternative relativamente sane per un pranzo veloce o una cena leggera. Tuttavia, molte persone scelgono l’uno o l’altro pensando che sia la scelta più sana senza conoscere davvero i meccanismi che si celano dietro la loro lavorazione e i valori nutrizionali. Sebbene entrambi provengano dalla lavorazione della coscia di suino, il loro processo produttivo e il profilo nutrizionale differiscono molto più di quanto si pensi, e i miti sulla loro salubrità meritano di essere sfatati con dati e spiegazioni accurate.
Le differenze fondamentali nei metodi di produzione
Alla base delle differenze tra prosciutto cotto e crudo c’è il metodo di lavorazione. Il prosciutto crudo viene preparato attraverso un lungo processo di salagione e stagionatura che può durare da alcuni mesi fino a diversi anni. Durante la stagionatura, il sale penetra nella carne permettendo la disidratazione e rendendo il prodotto stabile nel tempo. Questo processo, che riduce il contenuto d’acqua, concentra i nutrienti e, inevitabilmente, anche le calorie e i sal minerali come il sodio.
Il prosciutto cotto, invece, subisce una lavorazione completamente diversa. Dopo una breve salagione, la coscia di suino viene cotta a vapore o in forno a temperature controllate, spesso anche all’interno di stampi per ottenere la classica forma. La cottura rende il prodotto più tenero e lo rende sicuro dal punto di vista microbiologico, ma comporta l’aggiunta di altri ingredienti come aromi, spezie, zuccheri e, soprattutto, conservanti come i nitriti e nitrati. Il prosciutto cotto rimane più umido poiché la cottura mantiene una percentuale d’acqua superiore rispetto al crudo.
Valori nutrizionali: chi vince tra cotto e crudo?
Spesso il dibattito su quale prosciutto sia più salutare si concentra sulle calorie, sui grassi e sulle proteine. A parità di peso, il prosciutto crudo contiene una quantità leggermente superiore di proteine e una minore quantità di acqua, risultando così “più concentrato” dal punto di vista nutrizionale. Tuttavia, proprio il processo di stagionatura fa sì che il crudo presenti un apporto calorico più elevato: circa 280 kcal ogni 100 grammi contro le 215 kcal del cotto. Queste cifre però devono essere valutate considerando la variante acquistata, la presenza o meno di grasso visibile e la ricetta specifica del produttore.
Per quanto riguarda i grassi, il crudo ne contiene mediamente di più, ma si tratta in buona parte di acidi grassi monoinsaturi (come l’acido oleico) considerati benefici per la salute cardiovascolare. Il cotto, invece, apporta meno grassi totali ma una percentuale superiore di grassi saturi. Entrambi forniscono una buona quota di proteine ad alto valore biologico, ferro, fosforo e vitamine del gruppo B; il crudo eccelle anche per la presenza di magnesio e zinco, mentre il cotto è particolarmente ricco di potassio e alcune vitamine B specifiche.
Il ruolo del sale, dei conservanti e delle sostanze aggiunte
Uno degli aspetti più critici nella scelta tra cotto e crudo è senza dubbio il contenuto di sale. Il prosciutto crudo, a causa della stagionatura, contiene una quantità di sodio significativamente più alta rispetto al cotto, elemento che lo rende meno adatto per chi soffre di ipertensione o patologie cardiovascolari. Il prosciutto cotto, seppur meno salato, viene spesso trattato con additivi come nitriti e nitrati, utilizzati per prevenire la proliferazione batterica e migliorare la conservazione e il colore del prodotto. Tali additivi, se consumati in eccesso, sono stati correlati da alcune evidenze scientifiche ad un rischio maggiore per la salute, in particolare a una maggiore probabilità di sviluppare alcuni tumori.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, le carni lavorate – categoria che include sia il prosciutto cotto che quello crudo – sono inserite tra gli alimenti da consumare con moderazione per il loro potenziale legame con malattie croniche e tumori, specialmente se assunte con continuità e in grandi quantità. Il rischio aumenta con l’esposizione prolungata a nitriti e nitrati, tipici della lavorazione industriale, ma va sottolineato che nei prosciutti di qualità superiore (come i DOP e IGP) si punta ormai a ridurne l’uso al minimo indispensabile.
Salubrità reale: miti e verità da conoscere
Molte persone scelgono il prosciutto cotto o quello crudo con l’idea che uno sia indiscutibilmente più sano dell’altro. In realtà, le differenze in termini di salubrità dipendono molto più dall’origine della carne, dalla qualità della lavorazione e soprattutto dalla frequenza di consumo, piuttosto che da una presunta superiorità nutrizionale tra i due. Entrambe le tipologie appartengono alla categoria delle carni lavorate (carni lavorate), nell’ambito delle quali la moderazione resta la miglior strategia.
Un punto cruciale riguarda le fasce di popolazione più vulnerabili, come bambini, donne in gravidanza e anziani: per questi soggetti il cotto, grazie alla pastorizzazione tramite cottura, risulta sicuramente più sicuro, perché libera da eventuali batteri e parassiti tra cui il Toxoplasma e la Listeria. Dal punto di vista della digeribilità, invece, il prosciutto crudo è ritenuto migliore. Inoltre, per chi segue diete specifiche, come quelle per il controllo del colesterolo o delle calorie, è utile sapere che un crudo privato del grasso visibile può offrire un profilo nutrizionale sorprendentemente magro e ricco di proteine.
- Chi soffre di ipertensione, problemi renali o deve limitare il sodio dovrebbe preferire il cotto a basso contenuto di sale, possibilmente senza additivi.
- Per chi cerca una maggiore quota proteica, il crudo magro può essere una scelta più interessante, ma attenzione al contenuto di sodio!
- La Società Italiana di Nutrizione Umana consiglia di limitare il consumo settimanale di prosciutto a circa 50 grammi.
- Entrambi sono da evitare nei soggetti con allergie o intolleranze agli additivi conservanti.
In definitiva, non esiste un prosciutto “più sano” universalmente: la scelta migliore considera la qualità del prodotto, le nostre condizioni di salute individuali e la varietà nella dieta. Ciò che merita di essere ribadito è che entrambi, per via dei processi di trasformazione, entrano a pieno diritto fra le carni lavorate: un consumo occasionale, privilegiando produzioni artigianali e DOP con meno conservanti e sale, inserito in un’alimentazione ricca di verdure, cereali integrali e altri cibi freschi, rimane il modo migliore per godersi i sapori della tradizione senza rischi per la salute.